San Bartolomeo apostolo



Nella realizzazione di un’icona il primo passo è sempre costituito dallo studio dei modelli iconografici attestati.
In passato, pur nell’omogeneità dei canoni, le differenze anche notevoli non mancano.

Per questo motivo, la scelta del modello a cui rifarsi per dipingere un’icona risulta un elemento determinante nella realizzazione concreta.
Nella realizzazione di questa icona di San Bartolomeo apostolo si è scelto di seguire la raffigurazione presente nel ciclo musivo della cattedrale di Cefalù (vedi immagine), per la sua bellezza e la sua sobrietà.
Le radici dello stile cefaludese sono rinvenibili nel monastero di Dafni, e i suoi discendenti nei mosaici della Cappella Palatina e di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo[1].
Come appare subito all’occhio, la rappresentazione di San Bartolomeo si discosta alquanto da quelle a cui ci ha abituato l’arte moderna. Qui, infatti, è del tutto assente il tema del tipo di martirio subito da San Bartolomeo.
La ragione di questa scelta, operata dalla Chiesa antica, risiede nel fatto che le icone vogliono offrire lo sguardo sulla realtà trasfigurata, uno squarcio simbolico sulla vita che sarà alla fine dei tempi.
Inoltre, le icone fanno in modo che chi prega dinanzi ad esse possa disporsi in un clima di estrema fiducia e pace, senza accentuare la sofferenza della condizione presente.
Il martirio quindi non è taciuto, bensì superato. L’icona dice una parola di speranza: i martiri subivano il loro martirio perché sapevano che esso era la strada per questa pace. Infatti, il fine del martirio non è la sofferenza del martirio stesso, ma la pace che ne consegue. E questa pace viene come offerta in presentimento nelle icone.



[1] Cfr. E. Kitzinger, I mosaici di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, Nuova Alfa, Palermo 1990, pp. 154-158 e 235-245.

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